La politica sta cambiando al ritmo dei social. Lo si può vedere con l’aumento esponenziale, soprattutto in questo periodo, degli investimenti dei principali politici sui social. Ma sarebbe solo un livello superficiale di analisi. Di fondo, le nuove tecnologie dell’informazioni sono arrivate a contribuire nella messa in discussione la leadership della politica democratica; nelle dinamiche di acquisizione, conservazione e distribuzione del potere negli stati pseudo-democratici occidentali come il nostro.
La contesa elettorale e le dinamiche amministrative tipiche di uno stato democratico sono due dei mezzi possibili per acquisire, conservare o distribuire potere.
Che la Politica sia stata radicalmente trasformata dall’uso delle nuove tecnologie emerge chiaramente dalla cronaca quotidiana degli ultimi dieci anni. Dalla prima elezione di Obama fino a quella di Trump in USA, così come dalla parabola italiana del Movimento 5 Stelle e della Lega di Salvini, l’utilizzo dei nuovi canali mediatici è diventato centrale nel determinare vincitori e sconfitti in ogni passaggio elettorale. Ultimo caso, in ordine cronologico, è quanto avvenuto in Ucraina con l’elezione di Volodymyr Zelensky, un ex attore la cui volata è stata tirata da una serie su Netflix a sfondo politico, intitolata “Servitore del Popolo”, nome scelto poi per lo stesso movimento politico del neo-presidente.
Dal punto di vista della Presidenza dell’Autorità Garante per la Privacy, si evidenziano, le enormi vulnerabilità che scaturiscono per le libertà e i diritti dei cittadini dall’uso massivo delle nuove tecnologie di analisi dei dati.
In più, si anticipano con sorprendente visione e spirito critico, gli scenari relativi alle conseguenze dell’utilizzo generalizzato di big data e social network su società e politica, da un punto di vista sociologico e filosofico, mettendone in luce gli enormi rischi.
In effetti – senza negare le meravigliose opportunità che le nuove tecnologie offrono all’umanità anche nel campo delle relazioni sociali e dell’equa amministrazione del potere – dall’analisi dell’uso che concretamente viene fatto delle tecnologie dell’informazione digitale emergono chiaramente alcune linee di rischio anche elevato per la libertà di autodeterminazione degli individui.
Laddove un individuo sia sovrastimolato da un numero elevato di input di scelta rapidi e costanti tenderà a non operare in modo razionale (mediante logica), ma a scegliere in base a dei criteri automatici. Le potenzialità delle tecnologie usate in modo distorto, al solo fine di vincere competizioni elettorali, coltivando un’autoreferenzialità e uno iato tra Politica e società, generano un unico esito: la perdita di potere e di capacità di influenza!
I profili vengono utilizzati per veicolare comunicazioni istituzionali ed impersonali, prive di qualsivoglia dinamicità e vocazione al dialogo con gli altri utenti, che sarebbe il plus concesso da questi nuovi media. Spesso vengono veicolati messaggi che sono pura autocelebrazione dei candidati o del partito/movimento, titolare del profilo social analizzato; il più delle volte è evidente inoltre la mancanza di dialogo con i followers/elettori ma sovente è altrettanto palese il fatto che a pubblicare contenuti non sia il politico titolare del profilo ma soggetti da lui incaricati.
La banalizzazione e polarizzazione del dibattito, la comunicazione memetica e immediata, l’obsolescenza rapidissima, l’impossibilità di sviluppo dialettico del dibattito su temi di merito, la percezione di un uso sempre suggestivo se non fazioso dell’informazione, non fanno altro che accrescere lo iato tra società e politica, già favorito da fattori storici, economici, demografici e sociali.
Non sono rinunciabili le libertà ed i diritti fondamentali, che presidiano l’autonomia dell’individuo impedendo che si realizzino dittature della maggioranza in cui componenti minoritarie della comunità vengano private dei loro diritti fondamentali, in violazione dei principi etici generalmente condivisi nella nostra società. Non è rinunciabile l’idea per cui la leadership di una comunità politica debba essere selezionata in base all’effettiva capacità di gestire il potere al fine di realizzare in concreto gli orientamenti condivisi e trovi, nei diritti di cui sopra, dei limiti alla propria azione.
Tutto ciò è in pericolo laddove, nella contesa per la distribuzione del potere, il vuoto lasciato dalla Politica venga occupato da attori mossi da finalità diverse da quelle poc’anzi illustrate, come ad esempio il mero profitto. Se così fosse, poste le potenzialità enormi degli strumenti tecnologici oggi a disposizione, sarebbe molto più probabile la realizzazione degli scenari distopici ipotizzati in alcune delle opere citate, quali la dittatura degli algoritmi o la schiavitù volontaria diffusa.
Qui di seguito riportiamo un articolo di Milena Gabanelli e Simona Ravizza publicato sul Corriere della Sera, che spiega il sistema, "la Bestia", usato da Salvini, ma ovviamente la problematica su esposta, riguarda anche gli altri partiti politici:
"Il nome della Bestia l’ho copiato dalla campagna elettorale di Barack Obama ( “The Beast” era proprio la struttura creata, con un peso schiacciante di Internet, per arrivare alla Casa Bianca)». Le similitudini però si fermano giusto al nome. Pochi giorni fa il 46enne Luca Morisi, il noto consulente d’immagine di Matteo Salvini, ha lasciato il bunker di Mantova, da dove produce l’epica del Capitano, per una lezione a Torino a 50 giovani aspiranti spin doctor . I documenti presentati in quell’occasione permettono a Dataroom di ricostruire il funzionamento della potente macchina social che dal 2014 sta dietro l’ascesa del leader della Lega, oggi il politico con più consenso in Italia (sabato a Roma in piazza San Giovanni c’erano oltre 100 mila partecipanti). A far funzionare la Bestia ci sono 35 esperti digitali che coprono la vita pubblica e privata di Salvini 24 ore al giorno, festività incluse. Il vincolo è quello della riservatezza assoluta.
I numeri record durante i cinque mesi di campagna elettorale per le Europee del 26 maggio, su Facebook, definito l’ammiraglia del Capitano: 17 post al giorno, 60,8 milioni di interazioni (che vuol dire like, commenti, condivisioni), 40 milioni di «mi piace» e oltre 5 milioni di ore di video visualizzati. Risultato delle elezioni: Lega primo partito con il 34%. Da giugno i ritmi sono un po’ più lenti ma continua a crescere: i like sui post hanno raggiunto i 52 milioni, 11,5 milioni le condivisioni. Oggi i fan su Facebook sono oltre 3,8 milioni, su Instagram 1,8 e su Twitter 1,2. È una corazzata senza pari in Italia che dal buongiorno con pane e Nutella, alle castagne in padella per la figlia, fino alla domenica sera da Barbara d’Urso, macina ininterrottamente. In rapporto alla popolazione, la Bestia performa meglio delle macchine social del presidente del Brasile Jair Bolsonaro, dell’americano Donald Trump e del primo ministro indiano Narendra Modi.
Il gioco degli specchiI meccanismi per aumentare i fan sui social sono sfruttati in tutto il loro potenziale, a partire dal T-R-T: una sigla che sta per televisione, Rete, territorio. Si tratta di un gioco di specchi per mettere continuamente in comunicazione i tre ambiti: l’attesa dell’intervista tv viene trainata da ripetuti annunci su Facebook, durante la trasmissione si estrapolano e commentano in tempo reale fermi immagine e tweet live con i messaggi chiave da diffondere. Subito dopo vengono postati gli interventi tv (nel caso di Renzi rimontato ad hoc) con l’invito ai fan a esprimere il loro parere. Questo meccanismo trascina gli utenti social sulle reti tv (e viceversa) e contribuisce ad aumentarne l’audience. Salvini è il politico più invitato, e la parola d’ordine è: spolpare ogni evento fino all’osso. Lo stesso sistema vale per i comizi. Poi, siccome è proprio la velocità dei like che contribuisce a fare impennare l’algoritmo di Facebook e dunque ad ampliare la platea di chi vede il post, ecco sotto elezioni il gioco «Vinci Salvini»: chi per primo mette «Mi piace» entra in una graduatoria che alla fine farà guadagnare ai primi classificati una telefonata o un caffè con il leader.
Arrivare alla pancia degli elettori per raccogliere fan è cruciale la scelta dei messaggi: più toccano temi divisivi e più generano partecipazione (come le campagne contro gli immigrati #finitalapacchia, #prima gli italiani e #portichiusi); funzionano gli slogan motivazionali («la Lega continua a volare»), gli attacchi ai rivali politici («Sono ministri o comici?»), le immagini di vita privata («Mano nella mano» come commento a un post con la figlia), il coinvolgimento degli utenti («Siete pronti?»). Lo staff utilizza anche il software che individua l’argomento del giorno più discusso in Rete, e consente di adeguare i messaggi da lanciare. Dal tortellino al pollo, fino a Mahmood. A caldo si era schierato contro la vittoria del cantante, salvo poi fare marcia indietro e lodarlo. Un ruolo strategico è affidato ai sondaggi. Il 17 dicembre 2017 la Lega commissiona a Swg di testare la percezione degli elettori su una possibile minaccia dei Naziskin: il 67% degli elettori del Carroccio non li ritengono pericolosi (al contrario di chi vota per altri partiti). Da allora Salvini può tranquillamente spendersi a favore di CasaPound. Il documento, mai reso pubblico, lo ha scovato Report , che approfondirà su Rai 3.
La propagazione del messaggio, la diffusione del messaggio del Capitano è capillare grazie ai ripetitori digitali: almeno 800-1000 fedelissimi ricevono il link dei post su una chat su WhatsApp e immediatamente lo condividono sulla propria pagina Facebook e lo rilanciano in altre chat. Contemporaneamente i canali fiancheggiatori inseriscono lo stesso contenuto su più pagine pubbliche. Vietati invece i commenti con #49milioni, #siri o qualunque parola evochi uno scaldalo in cui è coinvolta la Lega. «L’esercito va nutrito e motivato», è il Morisi-pensiero: affinché tutti si sentano protagonisti, per la manifestazione di Roma del 19 ottobre sono stati creati cartelloni automatizzati con la propria foto di fianco a Salvini.
Profilatura dei fanI fan vengono profilati, al fine di inviare messaggi mirati. L’ultimo esempio è proprio legato al raduno di piazza San Giovanni dove Salvini lancia l’invito: «Mandate i vostri dati personali a legaonline.it e riceverete le informazioni richieste per i pullman e i treni diretti alla manifestazione di Roma». I 137 mila euro spesi da marzo a oggi in pubblicità su Facebook, vengono utilizzati soprattutto per geolocalizzare il messaggio e scegliere il target: inviare per esempio perfino ai tredicenni il post contro il governo che pensa di tassare le merendine, oppure raggiungere il più alto numero di elettori dell’Umbria in vista delle elezioni del 27 ottobre. Un’onda d’urto che sfruttando l’abilità del leader leghista ha fatto leva su tutte le debolezze del Paese. Alla fine probabilmente un buon 90% di quei 3,8 milioni di fan vota Salvini, ma da tutta questa attività social intrisa di slogan e provocazioni è difficile capire quale sia il progetto politico.
Le spese e chi le paga«La Bestia» ha anche un costo e qualcuno lo pagherà. Luca Morisi e il socio Andrea Paganella, fatturano tramite la Sistema Intranet, una società in nome collettivo (snc) che non ha l’obbligo di depositare i bilanci. Durante i 14 mesi di Salvini ministro dell’Interno entrambi hanno avuto un contratto con il Viminale: 65 mila euro per Morisi, 86 mila per Paganella. Pagati anche altri quattro contratti del team social: 41.600 euro ciascuno. A gestire i soldi del partito è invece la Lega per Salvini premier. Due milioni di euro sono arrivati da 187 mila contribuenti che nel 2018 hanno donato il loro 2×1000. Per il 2019 è previsto «un robusto incremento» delle entrate, poiché in cassa sta confluendo un terzo dello stipendio di ogni eletto del Carroccio. Nel bilancio la principale voce di costo, è genericamente indicata come «servizi»: 623 mila euro".
di Milena Gabanelli e Simona Ravizza
fonte: www.corriere.it
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