E’ trascorso
oltre mezzo secolo dalla sua morte, ma ancora oggi restano avvolte nel mistero
le vicende che videro coinvolto Salvatore Giuliano, e la sua eroica lotta per
l’indipendenza della Sicilia.
Già avemmo
modo di occuparcene oltre 10 anni fa, quando uscì nelle sale cinematografiche –
naturalmente nella più totale ed ovvia indifferenza, per ragioni di Stato – il
film “Segreti di Stato” che aveva provato a ricostruire la vicenda,
imperniandosi sulla figura assai ambigua e controversa, come vedremo più avanti,
di Gaspare Pisciotta.
Una pagina di
storia su cui non è mai stata fatta vera chiarezza, perché assai scomoda per il
regime di Roma ladrona che non ha esitato a scendere a patti con la mafia.
Confermando, ancora una volta, la propria natura criminale e liberticida.
Quello che da
sempre è stato ignobilmente etichettato quale “bandito”, in realtà era un vero
e proprio PATRIOTA. Nel senso più pieno e più nobile di questo termine,
considerando che Giuliano non avrebbe MAI agito contro la sua gente. E men che
meno sparato, considerando ciò che avvenne a Portella della Ginestra l’1 maggio
1947.
Ma com’è nata
la leggenda di quello che fu a giusta ragione definito il “Robin Hood” della
Sicilia? Tutto inizia nel lontano 1943, quando gli americani si stavano
apprestando a liberare un’isola martoriata dalla guerra, dalla fame e dalla
povertà dall’oppressione nazifascista. All’epoca era vietato il contrabbando, ed
in un contesto in cui i generi di prima necessità scarseggiavano, le autorità
dell’epoca per fronteggiare la crisi avevano disposto l’ammasso del grano.
Questo costrinse i contadini a privarsi del raccolto ed a sopravvivere con le
tessere. Anche perché le vessazioni del regime, impedivano alla maggioranza
della popolazione di potersi sfamare in quanto il grano non poteva né essere
nascosto, né tantomeno essere macinato con la stretta sorveglianza dei mulini
in atto.
Ma nonostante
gli assurdi divieti, Giuliano era riuscito a fabbricare un piccolo mulino
attraverso cui produceva farina che regalava alla propria gente. Un aspetto,
quello del legame fra questo patriota e la terra natale, che non si è mai
interrotto a dispetto di quello che questo stato ladro ed accattone ha sempre
voluto – come vedremo più avanti – farci credere. Quando il fratello maggiore
venne richiamato in guerra, Salvatore poco più che ventenne dovette farsi
carico della propria famiglia.
Ed il 2
settembre di quello stesso anno, incappò nel controllo di una pattuglia
composta da due guardie campestri e due carabinieri. Inutilmente, il giovane
Salvatore provò a spiegare e ad implorare gli uomini di legge che gli
confiscarono 2 sacche di 40 kg. di grano ciascuna, insieme al mulo con cui le
stava trasportando. Le guardie volevano portarlo al presidio militare
americano, dove esibì i propri documenti. Ma nemmeno questo riuscì a convincere
i militari che lo persero per un attimo di vista, quando videro passare dei
veri contrabbandieri. Giuliano provò a quel punto a scappare, ma le guardie se
ne accorsero e spararono dei colpi che lo ferirono al fianco. L’ordine
impartito al carabiniere Giuseppe Mancino fu quello di finirlo, nel caso fosse
ancora ferito. Ma Giuliano, sentendo ciò, fu più veloce di lui e lo ferì
gravemente con la pistola che teneva nascosta nello stivale.
Il militare
dell’Arma morì il giorno dopo a Palermo, mentre Salvatore Giuliano dopo un mese
trascorso fra la vita e la morte, guarì e si rifugiò sulle colline intorno a
Montelepre. Alla vigilia di Natale del 1943, allo scopo di catturarlo, le
autorità – pensate un po’ – disposero lo spiegamento nel paese di addirittura
800 carabinieri! Non riuscendovi, per rappresaglia arrestarono 125 persone fra
cui il padre di Giuliano, che fu picchiato a sangue da un graduato.
L’episodio
scatenò l’ira del patriota che, per tutta risposta, attaccò i convogli che
attendevano in piazza provocando la morte di un carabiniere ed il ferimento di
un altro militare dell’Arma.
Iniziò, come
si avrete potuto capire, una vera e propria caccia all’uomo, senza sosta.
Giuliano riuscì sempre a scappare ed anzi nel febbraio 1944 addirittura riuscì
a liberare 8 monteleprini ed a costituire il primo nucleo di guerriglieri. Il
15 maggio 1945 ottenne i gradi di colonnello ed il comando per la Sicilia
Occidentale dell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia,
nda) e le Brigate Partigiane Siciliane.
Alla fine del
1945, iniziò la vera guerra contro "l’Itaglia", con una serie di attacchi contro
le caserme e diverse battaglie combattute e vinte fra cui spiccano quelle di
Monte d’Oro, Calcerame e Monte Cuccio. Le azioni a tenaglia, portate avanti per
la parte militare, dall’EVIS, e per quella politica del MIS (Movimento per
l’Indipendenza della Sicilia, nda) trovarono il gradimento di ampi strati della
popolazione. Ed in forza di ciò, il Governo invasore itagliano ed il Re
d’itaglia Umberto II, approvarono lo “Statuto Siciliano” che di fatto rendevano
l’antica Trinacria una nazione confederata. La popolarità di Salvatore
Giuliano, grazie a questa straordinaria vittoria, intanto era salita alle
stelle tanto che fu considerato come il simbolo della ribellione del Sud ed il
“Robin Hood della Sicilia”, per la propria generosità.
La storia poi
continua, con il referendum che vide la nascita della Repubblica e la fine
della monarchia, l’Assemblea Costituente e le prime elezioni dopo il crollo del
regime fascista. L’allora Ministro di Grazia e Giustizia, Palmiro Togliatti,
fece approvare un decreto di amnistia con cui furono cancellati i reati comuni,
politici e militari.
Nonostante
questa legge che permise a tutti quelli che avevano combattuto per l’EVIS di
tornare nelle proprie case, il maresciallo dei Carabinieri Calandra aveva
denunciati per reati comuni tutti coloro che per lui appartenevano a Giuliano.
Senza però riuscirvi, perché intanto erano tornati nelle montagne.
Ma il
tradimento stava per consumarsi. Al regime partitocratico che nel frattempo si
era insediato, non andava per nulla bene una Sicilia libera ed indipendente dal
giogo centralista. Ed ecco che la trattativa con la mafia, era l’unico mezzo
con cui potersi sbarazzare di un personaggio così scomodo come Salvatore
Giuliano. Il 20 aprile 1947 bisognava tornare alle urne, e Giuliano che
sosteneva l’esponente del MIS repubblicano e democratico, Antonino Varvaro, aveva
preso accordi con l’esponente del PCI, Giuseppe Li Causi. Il patto prevedeva
che quest’ultimo avrebbe fatto confluire i voti dei comunisti indipendentisti
dell’isola sulla figura di Varvaro, con Giuliano che avrebbe finanziato la
campagna elettorale. Nonostante l’impegno economico che fu poi effettivamente
mantenuto da Giuliano, Li Causi venne meno ed il candidato Varvaro non fu
eletto.
L’episodio
suscitò la profonda indignazione di Giuliano che a quel punto intendeva
denunciare il comportamento scorretto di Li Causi alla festa dell’1 maggio che
si sarebbe svolta a Portella della Ginestra.
L’intenzione
era quella di esplodere alcuni colpi in aria per catturare il traditore e farlo
poi giudicare dai convenuti. Ma le cose andarono purtroppo ben diversamente,
perché fra i propri uomini c’erano anche degli infiltrati della polizia e della
mafia che avevano ordito un vero e proprio complotto. L’ispettore Messana, da
un lato, avvertì Li Causi di non andare a Portella della Ginestra. Dall’altro,
alcuni esponenti mafiosi della zona invece di sparare in aria non esitarono a
sparare agli inermi cittadini. Fu una vera e propria strage, con 11 morti e 27
feriti, la cui responsabilità è stata sempre addebitata da libri di scuola
ipocriti e bugiardi allo stesso Giuliano che mai avrebbe sparato alla propria
gente.
Furono inutili
le sue tantissime giustificazioni, perché per oltre mezzo secolo lo hanno fatto
passare come un bandito. Quando in realtà non poteva assolutamente essere, come
testimoniano le recenti analisi delle perizie balistiche, i verbali di
sopralluogo e soprattutto il ritrovamento di schegge di granate nei corpi che
né Giuliano, né tantomeno i propri uomini NON AVREBBERO MAI POTUTO AVERE!
Un complotto
vigliacco, ordito secondo quelli che sono sempre stati i dettami di un regime
vigliacco ed arrogante come quello itagliano che non ha mai esitato a giocare
sporco, quando le circostanze glielo hanno permesso. La trattativa stato –
mafia affonda le proprie radici, probabilmente, proprio in questa vicenda dove
intanto la credibilità dello stesso Giuliano aveva subito un durissimo colpo. I
partiti di quella sinistra, cui si è sempre ispirato, lo ritenevano colpevole
dell’eccidio di Portella della Ginestra e lo abbandonarono. Decise a quel punto
di appoggiare gli esponenti della DC, nelle elezioni del 1948, chiedendo in
cambio di avere l’amnistia. Ma anche stavolta, una volta ottenute le poltrone
(la loro vera ragione di vita!), i democristiani pensarono bene di tradire
l’accordo, proponendogli di arrendersi o di espatriare. E questo nonostante
l’impegno che Giuliano, anche stavolta, aveva profuso.
Era ormai
chiaro a tutti che la strategia intrapresa dalla canaglia itagliana era quella
di isolarlo: nella seconda metà di quello stesso anno, i nuovi governanti inviarono
i carri armati con lo scopo di rastrellare e deportare
tutte le persone dai 15 anni in su. Ben 3.000 persone, fra cui tutti i parenti
dello stesso Giuliano che denunciò a giornali, magistrati e politici i
maltrattamenti e le vessazioni che stavano subendo. Non servì a nulla, ed ecco
che riprese le azioni di rappresaglia contro le caserme ed i militari,
ingaggiando delle violentissime battaglie.
Lo Stato
"itagliano" capì che bisognava corrompere i suoi più stretti collaboratori,
insieme alla mafia che vedeva in Giuliano un grosso ostacolo per poter svolgere
liberamente per le proprie attività illegali. E fu così che, con la promessa
dell’amnistia, Gaspare Pisciotta e Nunzio Badalamenti (che poi venne
ufficialmente arrestato) lo uccisero nel sonno in una casa colonica chiamata
“Villa Carolina”, a metà strada fra Pioppo e Monreale. Vittima dunque di un
infame e vigliacco tradimento, a dispetto di quello che la storiografia
ufficiale di questo regime centralista carogna ha sempre voluto farci credere
dal momento che il 5 luglio 1950 il corpo di Giuliano fu trasportato a
Castelvetrano dove venne simulato uno scontro a fuoco con i carabinieri, che si
attribuirono il merito di averlo ucciso!
Lo stesso
Pisciotta sarebbe stato poi avvelenato con la stricnina durante la sua
detenzione al carcere dell’Ucciardone, a Palermo. Altro mistero che si aggiunge
alle tante menzogne che sono state raccontate su Salvatore Giuliano, riguardano
le inquietanti dichiarazioni rilasciate proprio da Pisciotta al momento della
cattura, a proposito della strage di Portella della Ginestra, sulla quale non
si è mai voluta fare piena chiarezza.
Il traditore Pisciotta
aveva infatti tirato in ballo, fra gli altri, quali mandanti materiali
dell’eccidio, l’allora Ministro degli Interni Mario Scelba ed il deputato DC
Bernardo Mattarella, padre dell’attuale Presidente della Repubblica Sergio, e
di quel Piersanti che era stato anche lui
ammazzato dalla mafia!
Uno dei tanti
segreti di stato che vedono protagonista una Sicilia a cui basta solo mettere
le persone giuste che vogliono solo il suo bene, per potersi affrancare dalla
cappa centralista e mafiosa che da oltre 150 anni la sta costringendo a vivere
molto al di sotto delle proprie immense possibilità! L’indipendenza – come
avrete potuto capire - era ed è ancora oggi una brutta gatta da pelare tanto
per lo Stato "itagliano", quanto per la mafia, che rischiano di vedersi sfuggire
la Sicilia.
Francesco
Montanino
La gente prima di aprire la bocca cosi tanto per prendere aria deve sapere prima la storia e le verità che fanno comodo nascondere a chi è al potere.
RispondiEliminaConcordissimo!!!!, su tutta la linea😠
RispondiEliminaConcordissimo!!!!!,su tutta la linea!😬😬😬😬😠😠💭grrrrrrrr!!!!!!:)"
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