Busto Arsizio (Varese) - Mentre al
Sud si continua a discutere di aria fritta senza nemmeno provare a risolvere
gli atavici problemi che attanagliano i cittadini, in Lombardia ed in Veneto
siamo in piena campagna elettorale per il referendum attraverso cui, fra poco
più di un mese, le due regioni locomotive dello stivale chiederanno maggiore
autonomia dallo stato centralista e canaglia romano.
La
consultazione che ha carattere consultivo, assume un valore politico
particolarmente importante, in virtù delle conseguenze che potrebbe assumere
anche per un Sud ancora stretto nella morsa del centralismo e
dell'assistenzialismo. Ed incapace, sinora, di esprimere una classe politica
che sappia affrancarlo da logiche vecchie, antiquate oltre che ripugnanti
basate solo ed esclusivamente sulla cura del proprio "orticello".
Senza girarci
troppo attorno, nel caso specifico, è in ballo il residuo fiscale (ovvero ciò
che riceve in termine di beni e servizi un cittadino, al netto delle tasse che
ha già pagato allo Stato) che in Lombardia ammonta alla bellezza di 54 miliardi
di euro che non si sa in quali tasche vanno a finire e per che cosa vengono spesi.
Ovvero quasi
8 volte tanto rispetto alla Catalogna che il prossimo 1 ottobre andrà anch’essa
alle urne per chiedere l’indipendenza da una Spagna che non sta lesinando
l’utilizzo di metodologie fasciste e di ispirazione franchista per negarle il
sacrosanto diritto alla libertà ed all’autodeterminazione, che pure è sancito
all’articolo 20 della Carta ONU e che anch’essa ha sottoscritto.
Nelle stesse
ore in cui la comunità internazionale sta vergognosamente a guardare quello che
sta accadendo a Barcellona, con la Spagna che ha addirittura mandato i carri
armati per soffocare il legittimo desiderio di libertà economica del popolo
catalano, qualcosa sembra muoversi nell'ottica della rivoluzione federale al
Nord, con la richiesta di autonomia proveniente da Veneto e soprattutto
Lombardia.
Un tema
particolarmente sentito, in quella che è considerata da tutti come la regione
più ricca del Bel Paese che travalica gli schieramenti, come attesta l’adesione
di sindaci anche del centrosinistra. A testimonianza che quando il territorio
esprime un’esigenza, la logica delle divergenze fra partiti viene messa da
parte, in nome di un ragionamento che tiene conto più delle esigenze di chi
lavora e produce rispetto, di quelle di chi invece campa di assistenzialismo e
parassitismo.
Si è svolto
stamani nel Centro Congressi di Malpensafiere della città bustocca, un
interessante incontro aperto al pubblico per illustrare ai cittadini le
motivazioni e le ragioni di una scadenza elettorale che assume una grande
importanza, a poco meno di un anno dalle elezioni che rinnoveranno il
Parlamento.
A confronto
sindaci anche di centrosinistra come Giorgio
Gori (Bergamo) e Davide Galimberti (Varese) ed istituzioni
regionali rappresentate in primis dal Governatore della Regione Lombardia, Roberto Maroni che hanno evidenziato come questa consultazione popolare
possa portare vantaggi ai cittadini, particolarmente vessati da uno stato
arrogante ed usurpatore come quello itagliano.
Sono state
illustrate anche le modalità di voto che per la prima volta, e questa è una novità
assoluta, prevedono l’utilizzo di una piattaforma telematica attraverso cui
sarà possibile esprimere la preferenza da un computer. E con cui, l’esito della
consultazione (per la quale ricordiamo non occorrerà il quorum) sarà comunicato
in tempo reale con un risparmio in termini di tempi e di costi.
A fare gli
onori di casa, Emanuele Antonelli
primo cittadino di Busto Arsizio che ha introdotto i lavori sottolineando
l’importanza ed il valore di questo voto. “Ci
siamo messi a disposizione - ha esordito
- affinché ciascun lombardo possa sapere per che cosa vota, a prescindere,
dalla scelta che vorrà poi intraprendere. Per questo invito tutti ad andare a
votare e di dire sì alla proposta referendaria, perché ci permetterebbe di
avere maggiori risorse a disposizione. E di fornire beni e servizi pubblici di
maggiore qualità ai cittadini. Busto Arsizio ha sempre rispettato i vincoli del patto di stabilità, ha avuto in
questi anni un bilancio con i conti in ordine e tenendo una pressione fiscale
su livelli molto bassi, offrendo grande eccellenza nei servizi forniti. Per
questo referendum, non stiamo buttando via soldi come ho sentito da qualche
parte. L'unica strada realmente percorribile è quella dell'autonomia e citando
Gianfranco Miglio adesso dobbiamo essere noi a tenere in mano le carte. Una
Lombardia più autonoma ed efficiente - ha poi concluso - può essere utile ed importante anche per il
resto del paese. Chi non è dalla parte del referendum, va contro l'interesse
dei cittadini e votare sì è giusto".
Il Presidente
della Regione Lombardia, Raffaele
Cattaneo invece ha battuto il tasto sul possibile pericolo di una bassa
influenza alle urne che potrebbe svilire di significato il referendum. "Ringrazio
il Consiglio Regionale - ha osservato - che ha votato l'atto con il quale ha autorizzato lo svolgimento di
questa votazione, ma dobbiamo capire esattamente qual è l'obiettivo che
intendiamo vogliamo raggiungere. Che non è solo e tanto il referendum, quanto
soprattutto la posta in gioco che è molto importante se pensiamo che laddove
c'è autonomia, c'è crescita. Costruiamo un vestito su misura, con cui gestire
le nostre regioni. A chi ritiene questo referendum inutile, rispondo solo che
può essere utilissimo ma anche dannosissimo. Perché se a votare ci va ad
esempio l'8% degli aventi diritto al voto, significa mettere una pietra tombale
su battaglie che stiamo portando avanti ormai da diversi anni. Per questo
invito i cittadini ad andare a votare e ad esprimersi per il si', perché se
vogliamo l'autonomia vera abbiamo bisogno della forza del popolo. Vogliamo
l'autonomia perché possiamo gestire meglio ad esempio la Sanità o la Formazione
professionale rispetto a ciò che viene fatto a Roma, con un modello virtuoso.
Non è soltanto una questione di avere maggiori risorse a disposizione, ma di
competenze che ci vengono attribuite fornendo servizi migliori ai cittadini, e
non certo per impoverire il Sud".
Ha preso poi
la parola il Governatore Roberto Maroni che nel corso del suo intervento ha
tenuto a precisare che "questo non è
il referendum ne' di Roberto Maroni, ne' della Lega ma dei lombardi. Vorrei che una volta tanto tutti comprendessero
il senso di questa iniziativa che va a vantaggio di tutti i cittadini, e non va
nel senso di dividere, come invece accade al Sud. Non speculerò sull'esito di
questo referendum per ragioni elettoralistiche, perché il giorno dopo con tutti
i sindaci che avranno votato sì, compresi quelli del PD, andrò a Roma per
negoziare. Partendo dal quesito, abbiamo inserito due incisi. Ovvero, il
carattere di specialità della regione Lombardia, espressa dai numeri del
residuo fiscale, cioè la differenza fra quanto i cittadini pagano in tasse e
quanto ricevono in cambio dallo stato in termini di servizi e trasferimenti. La
Catalogna ha un residuo fiscale di 8 miliardi e vuole diventare indipendente,
noi addirittura 54 e mi sembra che ci sia una bella differenza! Le virtuosità e
le specialità sono espresse dal nostro tessuto economico, e per chiedere
quest'ultima o chiediamo la trasformazione in Regione a statuto speciale come
accade per Trentino o Friuli che si tengono i 9/10 delle tasse. Oppure,
riconoscerla come Regione speciale che significa riconoscimento da parte del
Governo di una parte del residuo fiscale che di sicuro non risulta da una legge
e che varia di anno in anno. Numero dei dipendenti che abbiamo, costi che
sosteniamo e tanto altro ci mettono al top e penso che su questo possiamo
puntare. Il secondo inciso, riguarda l'ambito dell'unità nazionale e non è vero
che si tratta di un qualcosa di egoistico. Invitiamo i governatori delle
regioni meridionali, ad adottare il nostro modello virtuoso basato sui costi
standard che significa spendere meglio. Magari scavalcando Roma, ed adottando
lo schema dei fondi europei. Il primo a crederci è stato il Governatore De Luca
che si è detto disponibile ad adottare lo schema dei costi standard per la
sanità. In merito al referendum un altro aspetto che qui intendo evidenziare è
che non è previsto il quorum, è quello che mi aspetto è che vincano i sì. Anche
se è chiaro che è importante l'affluenza alle urne in Lombardia e Veneto
perché, a seconda di quanti cittadini andranno a votare, si avrà maggiore o
minore peso nei negoziati con Roma. Il ruolo delle Regioni, dei Comuni e delle
Province, che spero tornino ad essere elettive, va visto come quello di
interlocutori con il Governo per riaffermare la funzione delle autonomie. Con questo
referendum ciò viene valorizzato, a dispetto di ciò che per fortuna non è
passato lo scorso mese di dicembre. Vorrei che il Governo ci lasciasse almeno
la metà delle tasse, e potremmo anche chiedere la modifica degli articoli 116 e
117 della Costituzione. Certo, ad oggi, manca ancora una piattaforma
rivendicativa ed in questa sede invito nei prossimi giorni i sindaci, a
prendere parte a questa proposta dopo un passaggio in consiglio regionale. Sono
disponibile e proprio perché non è una battaglia personale sono anche pronto ad
approvare uno schema diverso da quello che ho in mente, a patto che sia
condivisa e davvero ambiziosa".
Il
consigliere regionale, nonché professore di Storia delle dottrine politiche dell'Universita'
degli Studi di Milano, Stefano Bruno Galli ha esaminato gli
aspetti più squisitamente tecnici del quesito referendario, partendo dalla legittimità
giuridica del principio dell'autonomia che affonda le sue radici nell'articolo
5 della Carta Costituzionale. "Questo
articolo - ha osservato - contiene
nel secondo comma un'incongruenza, perché lo stato centrale se da un lato
ispira anche al decentramento, dall'altro lato può decidere in qualsiasi
momento di riprendersi i poteri. Con il nuovo titolo V, è stato introdotto il
principio del regionalismo differenziato, di ispirazione spagnola. Il
federo-regionalismo spagnolo è una forma di autonomia molto spinta, quasi ai
limiti del federalismo con cui sono stati attribuiti una serie di poteri fra il
1978 ed il 1981 ai Paesi Baschi, alla Catalogna ed alla Navarra. L'adozione del
regionalismo dell'uniformità non è andato buon fine, perché prevede uguali
diritti e livelli di welfare che non è stato possibile garantire a tutti. Dalle
nostre parti, ogni tentativo di rinegoziare i rapporti con Roma su un certo
numero di materie nel corso degli anni è sempre fallito. Ci hanno provato
Trentino, Piemonte, Toscana e Lombardia ma sempre inutilmente. A monte di
qualsiasi trattativa, c'è il referendum il cui ricorso è avvalorato dalla Corte
Costituzionale e chi sostiene il contrario, sbaglia. Il referendum serve per
legittimare il peso della trattativa perché accanto al Governatore, idealmente
si siede anche il popolo lombardo che si è espresso. L'autonomia, da sempre, è
lotta di popolo così come insegnano le battaglie del Movimento Autonomista
Friulano che nel 1963 ha ottenuto lo statuto speciale. Quale strumento
migliore, se non quello espressione di una democrazia diretta? Il referendum è
uno strumento legittimo, con cui sarà possibile riprendere il cammino intrapreso
nel 2001 con il regionalismo differenziato che nessuno ha mai applicato. E se
per la sesta volta, il tentativo fallirà occorrerà cambiare l'articolo 116
della Costituzione. Magari andando anche rivedere alcuni paletti come il
residuo fiscale, innestando principi basati sulla competitività fra i territori
sulla scorta di ciò che accade in Svizzera con i Cantoni. Pena un'ulteriore
allargamento del divario fra le Regioni. Occorre trattare su tutte le materie,
perché il residuo fiscale che qui ammonta ad oltre 50 miliardi di euro che è un
qualcosa che nessuna area in Europa e nel mondo può vantare, impone sfide ben
più stimolanti di quelle che sono state sinora poste in essere. Attualmente il
rapporto contratto-scambio, tanto caro a Miglio, è iniquo nel caso della
Lombardia. Se tutte le Regioni, secondo uno studio condotto da Confcommercio,
adottassero lo stesso modello applicato dalla Lombardia, risparmieremmo ogni
anno la bellezza di 76 miliardi. Spendendone solo 51 per migliorare la qualità
dei beni ed i servizi pubblici anche altrove, ecco che ne resterebbero ancora
25. In merito alla specialità, giuridicamente la Lombardia è già pronta per
diventare Regione a statuto speciale al pari di Trentino Alto Adige, Friuli
Venezia Giulia, Valle D'Aosta, Sicilia e Sardegna. E questo perché il
Costituente nella sua mente aveva già previsto la possibilità di elevare le
regioni a statuto ordinarie particolarmente virtuose attribuendole il rango
della specialità. Sinora, il sistema si è basato sulla presenza di Regioni a
stato ordinario virtuose che hanno prodotto residuo fiscale ed altre che se lo
sono interamente mangiato. Con la conseguenza - ha quindi terminato - che non è stato possibile produrre PIL.
Siamo di fronte ad una sfida epocale che può permetterci di tornare a correre".
L'Assessore
all'agricoltura Giovanni Fava ha
illustrato ai presenti in sala le modalità assolutamente innovative ed inedite
attraverso cui sarà possibile esprimere la propria preferenza di voto che, per
la prima volta nella storia repubblicana, sarà elettronico. Poi è stato il
turno del Presidente dell'Unione Industriali di Varese, Riccardo Comerio che ha ricordato come "la Lombardia sia il motore di sviluppo del paese, dal momento che
copre da sola il 26% della produzione industriale italiana e le imprese della
nostra regione detengono il 26,9% della quota export nazionale. Al cospetto di
un'Italia debole nel contesto europeo, lo scenario lombardo non solo regge ma
addirittura primeggia soprattutto nel settore manifatturiero. È evidente dunque
che l'esigenza di una maggiore autonomia, è particolarmente sentita dalle
nostre imprese. La nostra posizione è verso un graduale passaggio ad un sistema
federalista sostenibile, iniziando a mettere mano alla questione delle
competenze concorrenti. Trasporto pubblico, servizio civile, liberalizzazione
dei servizi locali, tagli alle partecipazioni: sono temi che bloccano spesso
l'iniziativa imprenditoriale e che dunque tarpano ogni possibilità di creare
nuova occupazione. Ci auspichiamo che il referendum del 22 ottobre possa
fungere da volano per nuove riforme, riduzione della spesa pubblica e della
pressione fiscale, applicazione dei costi standard attraverso un nuovo schema
infra-regionale. I temi che ci interessano in particolare sono il commercio
estero, la tutela e la sicurezza del lavoro, la ricerca scientifica, il governo
del territorio, il trasporto, l'energia e la tutela dell'ambiente. Ci
aspettiamo, da questo referendum le giuste risorse per il sostenimento dei nostri
9 cluster tecnologici già riconosciuti da Regione Lombardia: aerospazio,
mobilità, agrifood, smart communities, tecnologia dell'ambiente, fabbrica
intelligente, energia, chimica verde, scienza della vite. La maggiore autonomia
sarà un fattore positivo per le aziende solo se sarà possibile contare su
regimi legislativi ed amministrativi più equilibrati che consentano maggiore
spazio di azione e di libertà per le imprese. Non per il loro interesse
particolare, ma per creare sviluppo, ricchezza ed occupazione nell'ottica di un
confronto con le parti sociali con cui pervenire ad una proposta condivisa. Una
Lombardia dotata di maggiori competenze e risorse può dare una spinta alla
crescita ed allo sviluppo non solo del nostro territorio, ma di tutto il paese.
La speranza è che i referendum di Veneto e Lombardia possano segnare l'inizio
di una stagione di riforme, ed essere volano per il sistema economico".
Particolarmente
atteso infine anche il discorso di Giorgio
Gori, dal 2014 primo cittadino di Bergamo del PD che da tempo ha dato
pubblicamente il proprio assenso al referendum, sia pur con qualche distinguo. "La scelta di alcuni sindaci del
centrosinistra di aderire a questa consultazione popolare è stata osteggiata ed
anche criticata - ha puntualizzato - ma
la nostra presenza qui sta a testimoniare, che è giusto che la regione abbia
maggiori poteri, e non certo da oggi. Già tempo fa, mi feci promotore di
un'iniziativa con cui, insieme ad altri sindaci, abbiamo chiesto l'applicazione
dell'articolo 116. Si potrà capire che non è nostra intenzione lasciare la
bandiera dell'autonomia ad una sola parte politica. Anche ricordando ciò che
accadde nel 2008, quando il governo Berlusconi, di cui facevano parte quattro
ministri leghisti, poteva già devolvere 12 competenze alla Regione Lombardia.
Ed invece non fece nulla. Un altro aspetto che intendo evidenziare è che nella
scheda è presente l'elemento della specialità, ma da nessuna parte c'è un cenno
al residuo fiscale, che nella comunicazione ai cittadini è espresso in maniera
consistente. Non ci piace che vengano presi in giro i cittadini, e riteniamo
che vadano rafforzate le politiche per il lavoro, la formazione professionale
di cui necessitano le nostre imprese, la ricerca scientifica e tecnologica, la
tutela dell'ambiente con la sostituzione del parco mezzi e l'efficientamento
energetico, la tutela della salute in cui ci auspichiamo maggiore flessibilità
nelle spese sanitarie, ed infine poteri di definizione ed allocazione
amministrativa. Questa riforma dell'autonomia la vogliamo fare contro il
centralismo della regione e la nostra sfida la lanciamo sulle priorità che ho
prima elencato. L'impegno dev'essere che chiunque vinca, l'altro deve essere al
suo fianco nella trattativa che in ogni caso la Lombardia dovrà aprire con Roma,
sia pur con 10 anni di ritardo. Sulla stessa scorta di ciò che farà - ha
poi concluso - la Regione Emilia-Romagna
il prossimo 3 ottobre, con una piattaforma condivisa".
Appare dunque
lapalissiano che Lombardia e Veneto, insieme all'Emilia-Romagna, rinegozieranno
di qui a poco il rapporto con Roma, sulla questione del residuo fiscale. Una
prospettiva che ci auspichiamo possa aprire il fronte a scenari del tutto
nuovi, anche in considerazione delle forti spinte indipendentiste provenienti
in particolare da Catalogna e Scozia che potrebbero modificare i rapporti di
forza anche e soprattutto nel contesto europeo.
Due dati devono
indurre tutti ad una sana e profonda riflessione perché, a nostro avviso, qua
non c'è più in ballo una motivazione di carattere meramente ideologica o di schieramento
politico, ma molto più concretamente di carattere economico: la Lombardia ha un
PIL procapite di 36.600 euro, uguale a quello della Danimarca ed addirittura
superiore a Germania (35.800), Svezia (35.700) e Regno Unito (31.200).Valori
con il segno meno, invece, per tutte le regioni del Sud che continuano a
campare sulle spalle di quelle più produttive come attestano il -6.419 della
Puglia ed il -10.617 della Sicilia, situate nelle ultime posizioni della
classifica, in riferimento all'Italia. Inoltre, la Lombardia vanta il debito
procapite più basso, dal momento che su ciascun cittadino grava un'esposizione
di circa 73 euro che è lontana anni luce dai 1.708 del Lazio, i 616 della
Calabria ed i 580 della Sicilia.
Al Sud quando
si inizierà finalmente a ragionare mettendo sul piatto della bilancia questi
discorsi di grande concretezza e pragmatismo? Per quanto tempo ancora
assisteremo al balletto delle poltrone e di un modo di fare politica che non
tiene conto dell'interesse collettivo, francamente anacronistico e decrepito? I
cittadini, dal canto loro, quando si sveglieranno dal sonno e dal torpore in
cui sono caduti ormai da interi decenni, chiedendo conto ai propri
amministratori pubblici di cosa fanno e di come vengono spesi i soldi, che sono
estorti sotto forma di tasse e gabelle e che servono solo a sostenere un
carrozzone buono solo a sfamare lavativi e fannulloni della peggior specie e
razza?
Francesco Montanino
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