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domenica 1 ottobre 2017

STATI CENTRALISTI LONTANI E NEMICI: LA PATRIA NON SI IMPONE, SI AMA.




Il senso di appartenenza ad una nazione può ancora essere imposto? E’ la domanda che ci siamo posti in questi giorni, osservando da spettatori interessati sia quanto sta accadendo in Catalogna, sia lo scandalo legato alla ricostruzione dopo gli spaventosi terremoti che da circa un anno hanno letteralmente messo in ginocchio l’area dell’appennino che circonda Marche, Umbria, Lazio ed Abruzzo.
Qualcuno potrà far notare che si tratta di eventi che fanno capo a due realtà (non solo naturalmente geografiche) completamente differenti. Vero, ma come potrete leggere, non è proprio così. Perché l’insegnamento che traiamo tanto dal referendum per l’indipendenza dei catalani dalla Spagna, quanto dalle vicende assurde e sconcertanti come quelle che per esempio hanno visto protagonista un’anziana signora di 95 anni in una delle aree maggiormente coinvolte dai movimenti tellurici, se proprio hanno in comune una cosa è proprio la totale lontananza e strafottenza degli stati centralisti (Spagna e Itaglia, nella fattispecie) rispetto alle esigenze concrete e reali dei cittadini.
Iniziamo la nostra disamina, partendo dalla situazione della Catalogna. Ormai è sotto gli occhi di tutti che Barcellona ed i propri dintorni, vivono con grande sofferenza l’essere legati al centralismo ed allo statalismo di Madrid. In questo caso, però, oltre ad una ragione di carattere meramente linguistico e culturale, ce ne sono diverse di carattere economico legata alla questione del residuo fiscale (parliamo di circa 8 miliardi di euro, l’ottava parte per intenderci di ciò che rivendica la Lombardia da Roma), alla presenza di multinazionali e ad un PIL pro capite di 27.663 euro che supera addirittura quello della Spagna (24.100). Completano il quadro, la disoccupazione che in Catalogna per ragioni facilmente comprensibili è di ben quattro punti percentuali inferiori rispetto a quella spagnola (13,2% contro 17,2%). 
Merito dell’autonomia di cui gode la Generalitat, a partire dal 1978 e che frutterebbe ancora di più se Barcellona diventasse indipendente, liberandosi dalla tenaglia centralista e statalista di Madrid. Che sta vergognosamente ricorrendo alla forza, con metodi tipicamente franchisti oltre che squadristi, inviando la Guardia Civil per impedire lo svolgimento di un diritto naturale che appartiene a qualsiasi essere umano, nell’esatto momento in cui fa parte di una comunità. Ovvero il diritto di poter decidere cosa è meglio o cosa è peggio, nella massima e piena libertà. Il referendum sull’indipendenza della Catalogna è stato accompagnato dal totale mutismo non solo dei media di regime, ma anche di queste pseudo istituzioni internazionali (sull’ONU, faremo un discorso a parte). Oltre che di quei partiti e movimenti che si dichiarano democratici ed amanti dell’autonomia a parole, ma non certo nei fatti.
I metodi da autentico satrapo e dittatore del premier spagnolo Mariano Rajoy sono espressione del più becero centralismo e di richiami a pagine buie della storia come il periodo franchista. Qui non si discute sull’ideologizzazione in un certo senso dello scontro fra Madrid (mossa dalla destra nazionalista e fascista) e Barcellona (spinte indipendentiste provenienti dalla sinistra), quanto piuttosto consentire al popolo di decidere. Sì o no, per noi conta fino ad un certo punto perché stabilire se conviene restare legati alla Spagna o affrancarsi è una decisione che spetta solo ai catalani. Per come la vediamo noi, è ovvio che siamo propensi per una Catalogna libera ed indipendente. Ma l’ultima parola spetta solo ed esclusivamente a chi è nato e/o vive in quella terra, ed a nessun altro. 
Se proprio voleva, Madrid avrebbe piuttosto dovuto spiegare in maniera razionale e concreta perché alla Catalogna non conviene staccarsi. Potevano essere addotte motivazioni di carattere tecnico e questo avrebbe fatto fare una figura ancora più nobile ad una Spagna che si sarebbe così scrollata di dosso, l’ingombrante fantasma di Francisco Franco, che evidentemente aleggia ancora nell’animo e nel cuore di quegli stessi governanti che non hanno certo esitato nell’adottare misure economicamente repressive in questi anni contro i loro stessi cittadini. Se già hanno dimostrato, tanto il PPE (Partito Popolare d’Espana) quanto i socialisti di essere lontani anni luce dalle condizioni economiche degli spagnoli, poteva mai essere altrettanto con la Catalogna? Evidentemente no, ed ecco che le motivazioni di carattere egoistico di Madrid che vuole campare alle spalle di Barcellona hanno prevalso. L’altro errore strategico compiuto dalla capitale spagnola, è stato quello di compattare le fila degli indipendentisti che potranno contare anche sull’apporto di chi magari prima era indeciso. E che invece, di fronte, a tali atteggiamenti di arroganza e presunzione magari avranno fugato i dubbi che pure li animavano.
Inoltre, c’è un altro aspetto da evidenziare. La Spagna sta agendo in barba anche a quelle stesse convenzioni dell’ONU che – ricordiamo – anche la Spagna alla fine della seconda guerra mondiale ha firmato. E che dovrebbe ben conoscere, quando tiriamo in ballo il diritto all’autodeterminazione dei popoli attraverso cui una comunità può decidere come e con chi stare (http://www.appuntigiurisprudenza.it/diritto-internazionale/principio-di-autodeterminazione-esterno.html). 
L’Organizzazione delle Nazioni Unite, in questa vicenda, hanno brillato per la loro assenza ed un imbarazzo che è apparso evidente a tutti. In passato, vogliamo solo ricordare come il Consiglio di Sicurezza si sia riunito con una certa celerità, quando si è trattato di muovere la guerra all’Iraq o all’ex Jugoslavia.
Qui siamo di fronte ad una norma cristallizzata nel diritto positivo di ciascun ordinamento giuridico nazionale, che va applicata e rispettata al di sopra anche delle Costituzioni di ogni singolo paese. E dunque anche nella Spagna, che piuttosto andrebbe sanzionata con sanzioni ed embargo (se non addirittura con l’uso della forza, se la situazione dovesse ulteriormente degenerare) proprio perché ha violato la norma sull’autodeterminazione dei popoli ricorrendo all’uso della forza, pur di non consentire l’esercizio del diritto di voto dei catalani.
Non c’è bisogno, dunque, di chiamarsi Saddam Hussein o Slobodan Milosevic affinché la comunità internazionale si muova in maniera compatta per far rispettare le regole. Anche ad un Mariano Rajoy qualsiasi, il cui modo di fare richiama alla mente per certi versi ciò che fece Benito Mussolini contro la Società delle Nazioni nel 1936, quando andò ad invadere l’Etiopia decretando di fatto l’uscita dell’Italia da tale consesso. Fatte le dovute proporzioni, Rajoy sta assumendo i tratti del duce del fascismo, mentre l’ONU politicamente ha subìto un colpo micidiale e mortifero allo stesso modo della Società delle Nazioni, di cui è figlia. Il non aver voluto prendere una posizione netta e decisa a favore della popolazione catalana, ci fa affermare con vigore e cognizione che siamo di fronte al fallimento delle Nazioni Unite.
Ed a casa nostra? Quel che resta della Lega Nord ha assunto una posizione assai blanda. Il segretario federale Salvini, naturalmente non ha profferito una sola parola in queste settimane a favore dell’indipendenza della Catalogna, che non si sente Spagna.
Non avevamo certo ragione di dubitarne, dal momento che stanno tenendo banco i contrasti con la leader di Fratelli d’Itaglia, Giorgia Meloni che si è dichiarata contraria (da perfetta sfascistella italiota qual è) ai referendum sull’autonomia in Lombardia ed in Veneto. Il segretario federale della lega naziunalista itagliana non ha ancora capito cosa vuole fare da grande, ma intanto l’appuntamento elettorale del 22 ottobre si sta avvicinando. Ed assumerà senz’altro un altro valore, alla luce di quello che sta accadendo a Barcellona. Perché se i catalani riusciranno a votare ed a dire sì, potrebbe aprirsi una breccia nella quale potranno infilarsi a giusta ragione altre regioni ricche dell’Europa che sono stufe tanto del centralismo degli stati nazionali sotto cui sono legate, quanto anche di una Unione Europea che, anche nella vicenda catalana, si è confermata essere mossa da istinti statalisti e che niente a che vedere hanno con la vera democrazia. Anche il Sud e la Sicilia, dovrebbero seriamente considerare l’ipotesi di affrancarsi finalmente dalla tenaglia di Roma ladrona. Anche se, allo stato attuale, è difficile preconizzare un epilogo del genere, stante la mentalità assistenzialista che ancora contraddistingue il modus vivendi nei nostri territori.
Fatte queste doverose premesse, che senso ha continuare a sbandierare l’appartenenza a stati ed istituzioni lontani anni luce dai cittadini e dai loro problemi quotidiani? È quello che si saranno senz’altro chiesti in queste ore, fra le lacrime, Peppina Fattori da Fiastra in provincia di Macerata. Ed i suoi parenti, involontari protagonisti di una vicenda mediatica che ha letteralmente disgustato e sdegnato tutti.
Colpa di una burocrazia idiota, che non ha tenuto conto delle particolari circostanze vissute da questa anziana signora di 95 anni che ha visto la propria casa distrutta dai violenti terremoti che hanno colpito l’appennino centrale ad Agosto ed Ottobre dello scorso anno. Per poter sopravvivere, gli era stato permesso di costruire una casetta in legno con cui quella che per tutti è diventata nonna Peppina poteva muoversi liberamente, anche in considerazioni delle sue condizioni di salute che non le permettono grossi sforzi. E restando nella terra in cui è nata e vissuta. Avrebbe potuto essere uno degli ultimi desideri della sua vita, ma così evidentemente non doveva essere. Perché pur producendo tutta la documentazione necessaria per poter edificare, mancava l’autorizzazione di carattere paesaggistico. Cosa che la costringerà a vivere nella casa dei figli. Il solito cavillo burocratico attraverso cui far “valere” la legalità solo ed esclusivamente nei confronti di chi è debole e non può certo difendersi. Ci sarebbe infatti da chiedersi perché la stessa rigidità non viene applicata per le baraccopoli dei ROM e delle occupazioni abusive degli edifici nei quartieri popolari soprattutto delle grandi città.
Perché questa è solo una delle tante schifezze che stanno accompagnando la ricostruzione dopo il terremoto secondo un cliché che, per certi versi, richiama alla mente quel che già abbiamo visto con lo scandalo Irpinia. Stavolta, oltre ad interi paesi in cui campeggiano le macerie quali simboli della sciatteria e delle promesse non mantenute da Renzi prima e Gentiloni poi, ci sono in ballo i milioni di euro raccolti sotto forma di SMS solidali che non sono mai arrivati a destinazione e che anzi non si sa che fine hanno fatto. O forse sì, visto che dovrebbero essere rinchiusi nel caveau di chissà quale banca. Insomma, siamo alle solite. Gli “amici degli amici” si arricchiscono, lucrando succulenti business ottenuti sulla scia emotiva della disperazione e la bontà, mentre c’è chi invece deve abbandonare la propria casa per un intoppo burocratico. O addirittura si trova ancora senza un tetto sotto cui ripararsi e senza un lavoro.
Che stato è quello che impedisce in maniera arrogante, presuntuosa, dispotica e vigliacca ai cittadini di andare ad esercitare un diritto democratico com’è il voto? Che stato è quello che si preoccupa dei clandestini e dei delinquenti e che con infinita spietatezza si permette di sfrattare un’anziana donna di 95 anni? Qualcuna delle anime belle dello statalismo e che in questi giorni ci sta ammorbando con la retorica nazionalista, si prenda la briga di rispondere. Sempre che ne sia capace, naturalmente...

Francesco Montanino

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