Il senso di appartenenza ad una nazione può ancora
essere imposto? E’ la domanda che ci siamo posti in questi giorni, osservando
da spettatori interessati sia quanto sta accadendo in Catalogna, sia lo
scandalo legato alla ricostruzione dopo gli spaventosi terremoti che da circa
un anno hanno letteralmente messo in ginocchio l’area dell’appennino che
circonda Marche, Umbria, Lazio ed Abruzzo.
Qualcuno potrà far notare che si tratta di eventi che
fanno capo a due realtà (non solo naturalmente geografiche) completamente
differenti. Vero, ma come potrete leggere, non è proprio così. Perché
l’insegnamento che traiamo tanto dal referendum per l’indipendenza dei catalani
dalla Spagna, quanto dalle vicende assurde e sconcertanti come quelle che per
esempio hanno visto protagonista un’anziana signora di 95 anni in una delle
aree maggiormente coinvolte dai movimenti tellurici, se proprio hanno in comune
una cosa è proprio la totale lontananza e strafottenza degli stati centralisti
(Spagna e Itaglia, nella fattispecie) rispetto alle esigenze concrete e reali
dei cittadini.
Iniziamo la nostra disamina, partendo dalla situazione
della Catalogna. Ormai è sotto gli
occhi di tutti che Barcellona ed i
propri dintorni, vivono con grande sofferenza l’essere legati al centralismo ed
allo statalismo di Madrid. In questo
caso, però, oltre ad una ragione di carattere meramente linguistico e
culturale, ce ne sono diverse di carattere economico legata alla questione del
residuo fiscale (parliamo di circa 8 miliardi di euro, l’ottava parte per
intenderci di ciò che rivendica la Lombardia da Roma), alla presenza di
multinazionali e ad un PIL pro capite di 27.663 euro che supera addirittura
quello della Spagna (24.100). Completano il quadro, la disoccupazione che in
Catalogna per ragioni facilmente comprensibili è di ben quattro punti
percentuali inferiori rispetto a quella spagnola (13,2% contro 17,2%).
Merito dell’autonomia di cui gode la Generalitat, a partire dal 1978 e che
frutterebbe ancora di più se Barcellona diventasse indipendente, liberandosi
dalla tenaglia centralista e statalista di Madrid. Che sta vergognosamente
ricorrendo alla forza, con metodi tipicamente franchisti oltre che squadristi,
inviando la Guardia Civil per impedire lo svolgimento di un diritto
naturale che appartiene a qualsiasi essere umano, nell’esatto momento in cui fa
parte di una comunità. Ovvero il diritto di poter decidere cosa è meglio o cosa
è peggio, nella massima e piena libertà. Il referendum sull’indipendenza della
Catalogna è stato accompagnato dal totale mutismo non solo dei media di regime,
ma anche di queste pseudo istituzioni internazionali (sull’ONU, faremo un
discorso a parte). Oltre che di quei partiti e movimenti che si dichiarano
democratici ed amanti dell’autonomia a parole, ma non certo nei fatti.
I metodi da autentico satrapo e dittatore del premier
spagnolo Mariano Rajoy sono
espressione del più becero centralismo e di richiami a pagine buie della storia
come il periodo franchista. Qui non si discute sull’ideologizzazione in un
certo senso dello scontro fra Madrid (mossa dalla destra nazionalista e
fascista) e Barcellona (spinte indipendentiste provenienti dalla sinistra),
quanto piuttosto consentire al popolo di decidere. Sì o no, per noi conta fino
ad un certo punto perché stabilire se conviene restare legati alla Spagna o
affrancarsi è una decisione che spetta solo ai catalani. Per come la vediamo
noi, è ovvio che siamo propensi per una Catalogna libera ed indipendente. Ma
l’ultima parola spetta solo ed esclusivamente a chi è nato e/o vive in quella
terra, ed a nessun altro.
Se proprio voleva, Madrid avrebbe piuttosto dovuto
spiegare in maniera razionale e concreta perché alla Catalogna non conviene
staccarsi. Potevano essere addotte motivazioni di carattere tecnico e questo
avrebbe fatto fare una figura ancora più nobile ad una Spagna che si sarebbe
così scrollata di dosso, l’ingombrante fantasma di Francisco Franco, che evidentemente aleggia ancora nell’animo e nel
cuore di quegli stessi governanti che non hanno certo esitato nell’adottare
misure economicamente repressive in questi anni contro i loro stessi cittadini.
Se già hanno dimostrato, tanto il PPE (Partito Popolare d’Espana) quanto i
socialisti di essere lontani anni luce dalle condizioni economiche degli
spagnoli, poteva mai essere altrettanto con la Catalogna? Evidentemente no, ed
ecco che le motivazioni di carattere egoistico di Madrid che vuole campare alle
spalle di Barcellona hanno prevalso. L’altro errore strategico compiuto dalla
capitale spagnola, è stato quello di compattare le fila degli indipendentisti
che potranno contare anche sull’apporto di chi magari prima era indeciso. E che
invece, di fronte, a tali atteggiamenti di arroganza e presunzione magari
avranno fugato i dubbi che pure li animavano.
Inoltre, c’è un altro aspetto da evidenziare. La
Spagna sta agendo in barba anche a quelle stesse convenzioni dell’ONU che –
ricordiamo – anche la Spagna alla fine della seconda guerra mondiale ha
firmato. E che dovrebbe ben conoscere, quando tiriamo in ballo il diritto
all’autodeterminazione dei popoli attraverso cui una comunità può decidere come
e con chi stare (http://www.appuntigiurisprudenza.it/diritto-internazionale/principio-di-autodeterminazione-esterno.html).
L’Organizzazione
delle Nazioni Unite, in questa vicenda, hanno brillato per la loro assenza
ed un imbarazzo che è apparso evidente a tutti. In passato, vogliamo solo
ricordare come il Consiglio di Sicurezza
si sia riunito con una certa celerità, quando si è trattato di muovere la
guerra all’Iraq o all’ex Jugoslavia.
Qui siamo di fronte ad una norma cristallizzata nel
diritto positivo di ciascun ordinamento giuridico nazionale, che va applicata e
rispettata al di sopra anche delle Costituzioni di ogni singolo paese. E dunque
anche nella Spagna, che piuttosto andrebbe sanzionata con sanzioni ed embargo
(se non addirittura con l’uso della forza, se la situazione dovesse
ulteriormente degenerare) proprio perché ha violato la norma
sull’autodeterminazione dei popoli ricorrendo all’uso della forza, pur di non
consentire l’esercizio del diritto di voto dei catalani.
Non c’è bisogno, dunque, di chiamarsi Saddam Hussein o Slobodan Milosevic affinché la comunità internazionale si muova in
maniera compatta per far rispettare le regole. Anche ad un Mariano Rajoy qualsiasi, il cui modo di fare richiama alla mente
per certi versi ciò che fece Benito
Mussolini contro la Società delle
Nazioni nel 1936, quando andò ad invadere l’Etiopia decretando di fatto
l’uscita dell’Italia da tale consesso. Fatte le dovute proporzioni, Rajoy sta
assumendo i tratti del duce del fascismo, mentre l’ONU politicamente ha subìto
un colpo micidiale e mortifero allo stesso modo della Società delle Nazioni, di
cui è figlia. Il non aver voluto prendere una posizione netta e decisa a favore
della popolazione catalana, ci fa affermare con vigore e cognizione che siamo
di fronte al fallimento delle Nazioni Unite.
Ed a casa nostra? Quel che resta della Lega Nord ha assunto una posizione
assai blanda. Il segretario federale Salvini,
naturalmente non ha profferito una sola parola in queste settimane a favore
dell’indipendenza della Catalogna, che non si sente Spagna.
Non avevamo certo ragione di dubitarne, dal momento
che stanno tenendo banco i contrasti con la leader di Fratelli d’Itaglia, Giorgia Meloni che si è dichiarata contraria (da perfetta sfascistella
italiota qual è) ai referendum sull’autonomia in Lombardia ed in Veneto. Il
segretario federale della lega naziunalista itagliana non ha ancora capito cosa
vuole fare da grande, ma intanto l’appuntamento elettorale del 22 ottobre si
sta avvicinando. Ed assumerà senz’altro un altro valore, alla luce di quello
che sta accadendo a Barcellona. Perché se i catalani riusciranno a votare ed a
dire sì, potrebbe aprirsi una breccia nella quale potranno infilarsi a giusta
ragione altre regioni ricche dell’Europa che sono stufe tanto del centralismo
degli stati nazionali sotto cui sono legate, quanto anche di una Unione Europea
che, anche nella vicenda catalana, si è confermata essere mossa da istinti
statalisti e che niente a che vedere hanno con la vera democrazia. Anche il Sud
e la Sicilia, dovrebbero seriamente considerare l’ipotesi di affrancarsi finalmente
dalla tenaglia di Roma ladrona. Anche se, allo stato attuale, è difficile
preconizzare un epilogo del genere, stante la mentalità assistenzialista che
ancora contraddistingue il modus vivendi
nei nostri territori.
Fatte queste doverose premesse, che senso ha
continuare a sbandierare l’appartenenza a stati ed istituzioni lontani anni
luce dai cittadini e dai loro problemi quotidiani? È quello che si saranno
senz’altro chiesti in queste ore, fra le lacrime, Peppina Fattori da Fiastra in
provincia di Macerata. Ed i suoi parenti, involontari protagonisti di una
vicenda mediatica che ha letteralmente disgustato e sdegnato tutti.
Colpa di una burocrazia idiota, che non ha tenuto
conto delle particolari circostanze vissute da questa anziana signora di 95
anni che ha visto la propria casa distrutta dai violenti terremoti che hanno
colpito l’appennino centrale ad Agosto ed Ottobre dello scorso anno. Per poter
sopravvivere, gli era stato permesso di costruire una casetta in legno con cui
quella che per tutti è diventata nonna Peppina poteva muoversi liberamente,
anche in considerazioni delle sue condizioni di salute che non le permettono
grossi sforzi. E restando nella terra in cui è nata e vissuta. Avrebbe potuto
essere uno degli ultimi desideri della sua vita, ma così evidentemente non
doveva essere. Perché pur producendo tutta la documentazione necessaria per
poter edificare, mancava l’autorizzazione di carattere paesaggistico. Cosa che
la costringerà a vivere nella casa dei figli. Il solito cavillo burocratico
attraverso cui far “valere” la legalità solo ed esclusivamente nei confronti di
chi è debole e non può certo difendersi. Ci sarebbe infatti da chiedersi perché
la stessa rigidità non viene applicata per le baraccopoli dei ROM e delle
occupazioni abusive degli edifici nei quartieri popolari soprattutto delle
grandi città.
Perché questa è solo una delle tante schifezze che
stanno accompagnando la ricostruzione dopo il terremoto secondo un cliché che,
per certi versi, richiama alla mente quel che già abbiamo visto con lo scandalo
Irpinia. Stavolta, oltre ad interi
paesi in cui campeggiano le macerie quali simboli della sciatteria e delle
promesse non mantenute da Renzi
prima e Gentiloni poi, ci sono in
ballo i milioni di euro raccolti sotto forma di SMS solidali che non sono mai
arrivati a destinazione e che anzi non si sa che fine hanno fatto. O forse sì,
visto che dovrebbero essere rinchiusi nel caveau di chissà quale banca.
Insomma, siamo alle solite. Gli “amici degli amici” si arricchiscono, lucrando
succulenti business ottenuti sulla scia emotiva della disperazione e la bontà,
mentre c’è chi invece deve abbandonare la propria casa per un intoppo
burocratico. O addirittura si trova ancora senza un tetto sotto cui ripararsi e
senza un lavoro.
Che stato è quello che impedisce in maniera arrogante,
presuntuosa, dispotica e vigliacca ai cittadini di andare ad esercitare un
diritto democratico com’è il voto? Che stato è quello che si preoccupa dei
clandestini e dei delinquenti e che con infinita spietatezza si permette di
sfrattare un’anziana donna di 95 anni? Qualcuna delle anime belle dello
statalismo e che in questi giorni ci sta ammorbando con la retorica
nazionalista, si prenda la briga di rispondere. Sempre che ne sia capace, naturalmente...
Francesco Montanino
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