Fra tutti i centri di potere che abbiamo
imparato a conoscere ce n’è una che ai più sfugge, che è quella di certi
giudici. La costituzione, sin dalla sua nascita, ha sancito l’indipendenza del
potere giudiziario rispetto a quello esecutivo, secondo un sistema di pesi che
avrebbe dovuto garantire equilibrio fra gli organi preposti al funzionamento
della pachidermica macchina statale. Con il tempo, però abbiamo assistito ad
una certa intraprendenza da parte di chi sarebbe preposto a far rispettare
esclusivamente le leggi, mescolandosi esso stesso alla politica. Se si eccettua
infatti l’encomiabile operato di chi ha dato la propria vita per lottare contro
la mafia e le sue malefiche emanazioni che trovano origine a Roma (Falcone,
Borsellino e Livatino), da Tangentopoli in poi abbiamo assistito alle
“invasioni di campo” di Di Pietro prima e, recentemente, di De Magistris ed
Ingroia. Anche se, in effetti, qualcosa di marcio lo abbiamo riscontrato quando
alcuni giudici idioti come pochi altri, condannarono ad un’ingiusta e letale
detenzione il povero Enzo Tortora, prendendo incredibilmente per buone le
menzogne di un manipolo di bastardi camorristi!
Su Giggino
“o’ sindachino”, non finiamo mai di stupirci e di essere costretti
continuamente ad aggiornare la contabilità di figuracce e di primati negativi
collezionati da chi vorrebbe atteggiarsi a Masaniello, quando in realtà è esso
stesso diretta emanazione del regime. Votato da una minoranza di napoletani,
questo primo cittadino per certi aspetti sta facendo addirittura rimpiangere
don Antonio Berisha detto “Bassolino” e Rosetta Russo Jervolino che hanno
letteralmente imperversato nella capitale del sud, trasformandola in una
latrina pubblica.
A darle il
colpo di grazia definitivo, ci ha pensato il caro Giggino che ha collezionato
una serie di perle che lo hanno fatto diventare il nostro bersaglio preferito,
insieme al fannullone padano Salvini.
L’ultima,
l’aver portato Napoli ad un passo dal baratro contabile, dal momento che la
Corte dei Conti ha condannato senza mezzi termini la gestione economica allegra
di questa amministrazione comunale che si ritrova con un debito di oltre 2,5
miliardi di euro. Voragine creata, come sarà facile intuire, da sindaci
incapaci oltre che spreconi che non solo non hanno per nulla migliorato la
vivibilità di Napoli. Ma hanno creato gravissimi danni alle casse di questo
ente, che si è ritrovato fra gli altri con un’esposizione addirittura risalente
al 1981 nell’immediato dopo terremoto dell’Irpinia.
L’amministrazione
comunale partenopea deve ancora alla società CR8, il consorzio incaricato della
Ricostruzione post-sisma, la bellezza di 114 milioni di euro. Debito che si è
andato accumulando negli anni, ma che nessun primo cittadino se n’è guardato
bene di provare quanto meno a rinegoziare o a spalmare nel tempo. Era naturale
che la Corte dei Conti, di fronte ad una situazione del genere, non se ne
stesse con le mani in mano. Anche perché poi, ad aggravare ulteriormente la
situazione, ci ha pensato la gravissima situazione finanziaria dell’azienda
municipalizzata dei trasporti (ANM), altra cartina di tornasole di decenni e
decenni di sprechi ed inefficienza.
La notizia di
oggi è che il debito con il consorzio CR8 ricadrà sulle spalle dello stato per
il 77%, mentre per la restante parte sul comune di Napoli. Tradotto – è proprio
il caso di dirlo in soldoni – saranno come sempre i cittadini a dover farsi
carico dell’incapacità di pubblici amministratori che fanno ricadere su di
loro, il fio della scelleratezza, della strafottenza e dell’arroganza. Evitato
dunque il commissariamento che pure ci sembra essere il minimo sindacale per
una giunta – quella di De Magistris – che sta amministrando Napoli in maniera a
dir poco allucinante.
New entry
assoluta, invece, Antonio Ingroia. Anch’esso ex magistrato, con il vizio di
aver assorbito dalla politica certe abitudini a dir poco deprecabili. Scopriamo,
con un po’ di stupore, che l’ex pm che faceva parte di quel pool di magistrati
che hanno strenuamente combattuto la mafia a Palermo, si è ritrovato pignorato
la bellezza di 151.000 euro. Il motivo? Ingroia - stando alle accuse mossegli
dalla Procura della Repubblica del capoluogo siciliano - si sarebbe autoliquidato
quella considerevole cifra, in qualità di amministratore della “Sicilia e Servizi Spa”, società in
house della Regione.
L’accusa di
peculato che pende sul capo dell’ex pm trova infatti origine dai 34.000 euro di
di rimborsi illeciti che si sarebbe impropriamente intascato, chiedendo la restituzione
di spese. Le contestazioni mossegli nascono dalla natura
riconosciuta a questa società, da cui deriva che abbia rivestito la qualifica
di incaricato di pubblico servizio.
“Ingroia - leggiamo su “Il quotidiano.net -, prima liquidatore della società (dal 23 settembre 2013), è
stato successivamente nominato amministratore unico dall’assemblea dei
soci, carica che ha ricoperto dall'8 aprile 2014 al 4 febbraio 2018. Le indagini hanno accertato che il 3
luglio 2014 l'ex pm si è autoliquidato circa
117.000 euro a titolo di indennità di risultato per la precedente attività di
liquidatore, in aggiunta al compenso omnicomprensivo che gli era stato
riconosciuto dall'assemblea, per un importo di 50.000 euro. Per gli
investigatori l'autoliquidazione che ha,
di fatto, determinato un abbattimento dell'utile di esercizio del 2013 da
150.000 euro a 33.000 euro, sarebbe stata indebita. La violazione della normativa nazionale e
regionale in materia di riconoscimento delle indennità premiali ai manager
delle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni è stata avallata dal
revisore contabile, Chisari, che avrebbe dovuto effettuare verifiche sulla
regolarità dell'operazione. Da qui l'inchiesta anche a suo carico”.
Ma non è
tutto. “Ingroia si
sarebbe, inoltre, indebitamente appropriato di ulteriori 34.000 euro, a
titolo di rimborso spese sostenute per vitto e alloggio nel 2014 e
nel 2015, in occasione delle trasferte a Palermo per svolgere le funzioni di
amministratore, nonostante la normativa consentisse agli amministratori di
società partecipate residenti fuori sede l'esclusivo rimborso delle spese di
viaggio.
L'ex pm aveva adottato un regolamento interno alla società che consentiva tale ulteriore indebito rimborso. Anche in questo caso la violazione della normativa è stata avallata dal revisore contabile, che risponde di peculato in concorso con l'ex magistrato”.
L'ex pm aveva adottato un regolamento interno alla società che consentiva tale ulteriore indebito rimborso. Anche in questo caso la violazione della normativa è stata avallata dal revisore contabile, che risponde di peculato in concorso con l'ex magistrato”.
Oltre ai
politici, dunque, anche certi magistrati credono che è possibile scherzare ed
arricchirsi alle spalle di chi fa fatica a portare il piatto a tavola, in nome
di un imprecisato e non meglio specificato diritto e delirio di onnipotenza!
Questi
indegni personaggi continueranno a fare i porci comodi sino a quando non
esisteranno strumenti legislativi adeguati, per punirli sia in sede civile che
penale.
In questa
sede, la nostra proposta per porre fine ad una situazione in cui gli unici a
pagare sono i cittadini consiste nell’estendere il principio della
responsabilità patrimoniale solidale ed illimitata ai pubblici amministratori,
così come accade per i soci delle società di persone (esclusi gli accomandanti
della SAS). Per rendere ancora più semplice il concetto il sindaco o chi per
esso, nel caso in cui sia artefice del peggioramento della situazione
finanziaria dell’ente pubblico che gestisce, paga di tasca propria!
E non più,
scaricando sui cittadini – come invece accade oggi – il conto della propria
incapacità e inettitudine! A ciò, naturalmente, si accompagnerebbero anche
conseguenze di carattere penale, dal momento che stiamo parlando di tradimento
e mancato rispetto del mandato che gli è stato conferito dagli elettori.
Siamo insomma
lontani anni luce dalla demagogia del M5S che crede ingenuamente che tagliando
i vitalizi alla classe politica si possano risolvere i problemi legati al
dissesto dei conti pubblici, facendo leva sulla rabbia anti sistema che cova
sotto la cenere di tantissimi cittadini. Certo, e’ senz’altro immorale vedere
autentiche braccia rubate all’agricoltura non fare un cazzo dalla mattina alla
sera e portarsi a casa immeritatamente un ricco stipendio pagato dalla collettività.
Il problema – per come la vediamo noi – non è tanto e solo pagare 15-20.000
euro al mese un pubblico amministratore.
Ma chiamarlo a rispondere in sede sia civile che penale, nell’esatto momento in cui abusa del prestigioso ruolo che ricopre dimenticandosi dello scopo per il quale si trova lì.
In un
nostro governo, questo sarebbe uno dei primissimi provvedimenti che adotteremmo
con urgenza, perché - in ossequio al più elementare dei principi di buonsenso -
chi sbaglia ha il dovere di pagare!Ma chiamarlo a rispondere in sede sia civile che penale, nell’esatto momento in cui abusa del prestigioso ruolo che ricopre dimenticandosi dello scopo per il quale si trova lì.
F. Montanino
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