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lunedì 19 marzo 2018

LA CASTA INVISIBILE E IMPUNITA DEI MAGISTRATI.


Fra tutti i centri di potere che abbiamo imparato a conoscere ce n’è una che ai più sfugge, che è quella di certi giudici. La costituzione, sin dalla sua nascita, ha sancito l’indipendenza del potere giudiziario rispetto a quello esecutivo, secondo un sistema di pesi che avrebbe dovuto garantire equilibrio fra gli organi preposti al funzionamento della pachidermica macchina statale. Con il tempo, però abbiamo assistito ad una certa intraprendenza da parte di chi sarebbe preposto a far rispettare esclusivamente le leggi, mescolandosi esso stesso alla politica. Se si eccettua infatti l’encomiabile operato di chi ha dato la propria vita per lottare contro la mafia e le sue malefiche emanazioni che trovano origine a Roma (Falcone, Borsellino e Livatino), da Tangentopoli in poi abbiamo assistito alle “invasioni di campo” di Di Pietro prima e, recentemente, di De Magistris ed Ingroia. Anche se, in effetti, qualcosa di marcio lo abbiamo riscontrato quando alcuni giudici idioti come pochi altri, condannarono ad un’ingiusta e letale detenzione il povero Enzo Tortora, prendendo incredibilmente per buone le menzogne di un manipolo di bastardi camorristi!
Su Giggino “o’ sindachino”, non finiamo mai di stupirci e di essere costretti continuamente ad aggiornare la contabilità di figuracce e di primati negativi collezionati da chi vorrebbe atteggiarsi a Masaniello, quando in realtà è esso stesso diretta emanazione del regime. Votato da una minoranza di napoletani, questo primo cittadino per certi aspetti sta facendo addirittura rimpiangere don Antonio Berisha detto “Bassolino” e Rosetta Russo Jervolino che hanno letteralmente imperversato nella capitale del sud, trasformandola in una latrina pubblica.
A darle il colpo di grazia definitivo, ci ha pensato il caro Giggino che ha collezionato una serie di perle che lo hanno fatto diventare il nostro bersaglio preferito, insieme al fannullone padano Salvini.

L’ultima, l’aver portato Napoli ad un passo dal baratro contabile, dal momento che la Corte dei Conti ha condannato senza mezzi termini la gestione economica allegra di questa amministrazione comunale che si ritrova con un debito di oltre 2,5 miliardi di euro. Voragine creata, come sarà facile intuire, da sindaci incapaci oltre che spreconi che non solo non hanno per nulla migliorato la vivibilità di Napoli. Ma hanno creato gravissimi danni alle casse di questo ente, che si è ritrovato fra gli altri con un’esposizione addirittura risalente al 1981 nell’immediato dopo terremoto dell’Irpinia.
L’amministrazione comunale partenopea deve ancora alla società CR8, il consorzio incaricato della Ricostruzione post-sisma, la bellezza di 114 milioni di euro. Debito che si è andato accumulando negli anni, ma che nessun primo cittadino se n’è guardato bene di provare quanto meno a rinegoziare o a spalmare nel tempo. Era naturale che la Corte dei Conti, di fronte ad una situazione del genere, non se ne stesse con le mani in mano. Anche perché poi, ad aggravare ulteriormente la situazione, ci ha pensato la gravissima situazione finanziaria dell’azienda municipalizzata dei trasporti (ANM), altra cartina di tornasole di decenni e decenni di sprechi ed inefficienza.
La notizia di oggi è che il debito con il consorzio CR8 ricadrà sulle spalle dello stato per il 77%, mentre per la restante parte sul comune di Napoli. Tradotto – è proprio il caso di dirlo in soldoni – saranno come sempre i cittadini a dover farsi carico dell’incapacità di pubblici amministratori che fanno ricadere su di loro, il fio della scelleratezza, della strafottenza e dell’arroganza. Evitato dunque il commissariamento che pure ci sembra essere il minimo sindacale per una giunta – quella di De Magistris – che sta amministrando Napoli in maniera a dir poco allucinante.

New entry assoluta, invece, Antonio Ingroia. Anch’esso ex magistrato, con il vizio di aver assorbito dalla politica certe abitudini a dir poco deprecabili. Scopriamo, con un po’ di stupore, che l’ex pm che faceva parte di quel pool di magistrati che hanno strenuamente combattuto la mafia a Palermo, si è ritrovato pignorato la bellezza di 151.000 euro. Il motivo? Ingroia - stando alle accuse mossegli dalla Procura della Repubblica del capoluogo siciliano - si sarebbe autoliquidato quella considerevole cifra, in qualità di amministratore della “Sicilia e Servizi Spa”, società in house della Regione.
L’accusa di peculato che pende sul capo dell’ex pm trova infatti origine dai 34.000 euro di di rimborsi illeciti che si sarebbe impropriamente intascato, chiedendo la restituzione di spese. Le contestazioni mossegli nascono dalla natura riconosciuta a questa società, da cui deriva che abbia rivestito la qualifica di incaricato di pubblico servizio.
“Ingroia - leggiamo su “Il quotidiano.net -, prima liquidatore  della società (dal 23 settembre 2013), è stato successivamente nominato amministratore unico dall’assemblea dei soci, carica che ha ricoperto dall'8 aprile 2014 al 4 febbraio 2018. Le indagini hanno accertato che il 3 luglio 2014 l'ex pm si è autoliquidato circa 117.000 euro a titolo di indennità di risultato per la precedente attività di liquidatore, in aggiunta al compenso omnicomprensivo che gli era stato riconosciuto dall'assemblea, per un importo di 50.000 euro. Per gli investigatori l'autoliquidazione che ha, di fatto, determinato un abbattimento dell'utile di esercizio del 2013 da 150.000 euro a 33.000 euro, sarebbe stata indebita. La violazione della normativa nazionale e regionale in materia di riconoscimento delle indennità premiali ai manager delle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni è stata avallata dal revisore contabile, Chisari, che avrebbe dovuto effettuare verifiche sulla regolarità dell'operazione. Da qui l'inchiesta anche a suo carico”.
Ma non è tutto. “Ingroia si sarebbe, inoltre, indebitamente appropriato di ulteriori 34.000 euro, a titolo di rimborso spese sostenute per vitto e alloggio nel 2014 e nel 2015, in occasione delle trasferte a Palermo per svolgere le funzioni di amministratore, nonostante la normativa consentisse agli amministratori di società partecipate residenti fuori sede l'esclusivo rimborso delle spese di viaggio.
L'ex pm aveva adottato un regolamento interno alla società che consentiva tale ulteriore indebito rimborso. Anche in questo caso la violazione della normativa è stata avallata dal revisore contabile, che risponde di peculato in concorso con l'ex magistrato”.
Oltre ai politici, dunque, anche certi magistrati credono che è possibile scherzare ed arricchirsi alle spalle di chi fa fatica a portare il piatto a tavola, in nome di un imprecisato e non meglio specificato diritto e delirio di onnipotenza!

Questi indegni personaggi continueranno a fare i porci comodi sino a quando non esisteranno strumenti legislativi adeguati, per punirli sia in sede civile che penale.
In questa sede, la nostra proposta per porre fine ad una situazione in cui gli unici a pagare sono i cittadini consiste nell’estendere il principio della responsabilità patrimoniale solidale ed illimitata ai pubblici amministratori, così come accade per i soci delle società di persone (esclusi gli accomandanti della SAS). Per rendere ancora più semplice il concetto il sindaco o chi per esso, nel caso in cui sia artefice del peggioramento della situazione finanziaria dell’ente pubblico che gestisce, paga di tasca propria!
E non più, scaricando sui cittadini – come invece accade oggi – il conto della propria incapacità e inettitudine! A ciò, naturalmente, si accompagnerebbero anche conseguenze di carattere penale, dal momento che stiamo parlando di tradimento e mancato rispetto del mandato che gli è stato conferito dagli elettori.
Siamo insomma lontani anni luce dalla demagogia del M5S che crede ingenuamente che tagliando i vitalizi alla classe politica si possano risolvere i problemi legati al dissesto dei conti pubblici, facendo leva sulla rabbia anti sistema che cova sotto la cenere di tantissimi cittadini. Certo, e’ senz’altro immorale vedere autentiche braccia rubate all’agricoltura non fare un cazzo dalla mattina alla sera e portarsi a casa immeritatamente un ricco stipendio pagato dalla collettività. Il problema – per come la vediamo noi – non è tanto e solo pagare 15-20.000 euro al mese un pubblico amministratore. 

Ma chiamarlo a rispondere in sede sia civile che penale, nell’esatto momento in cui abusa del prestigioso ruolo che ricopre dimenticandosi dello scopo per il quale si trova lì.
In un nostro governo, questo sarebbe uno dei primissimi provvedimenti che adotteremmo con urgenza, perché - in ossequio al più elementare dei principi di buonsenso - chi sbaglia ha il dovere di pagare!

F. Montanino

Lega Sud - Ausonia

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