Sono di più i meridionali che emigrano dal Sud per andare a lavorare o a studiare al Centro Nord e all’estero che gli stranieri immigrati regolari che scelgono di vivere nelle regioni meridionali.
"E' un'emergenza le
cui dimensioni superano il fenomeno dell'immigrazione", dice Luca Bianchi, direttore dello Svimez (Associazione
per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno), in occasione dell'anticipazione
del rapporto “L'economia e la società del Mezzogiorno”.
I numeri parlano chiaro: gli emigrati dal Sud tra il
2002 e il 2017 sono stati oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017. Di
questi ultimi 66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33% laureati). Il saldo
migratorio interno, al netto dei rientri, è negativo per 852 mila unità. Nel
solo 2017, si legge, sono andati via “132
mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70 mila unità“.
L’emergenza emigrazione del Sud determina
una perdita di popolazione, soprattutto giovanile, e qualificata, solo
parzialmente compensata da flussi di immigrati, modesti nel numero e
caratterizzati da basse competenze. Questa dinamica determina soprattutto
per il Mezzogiorno una prospettiva demografica assai preoccupante di
spopolamento, che riguarda in particolare i piccoli centri sotto i 5mila
abitanti.
l’Italia non cresce e il
Sud arranca sempre di più, al punto che il divario con il resto d’Italia
aumenta progressivamente. "Nel quadro di un progressivo rallentamento
dell’economia italiana, si è riaperta la frattura territoriale che arriverà nel
prossimo anno a segnare un andamento opposto tra le aree, facendo ripiombare il
Sud nella recessione da cui troppo lentamente era uscito", si legge nel
rapporto Svimez 2019. In base alle previsioni, l’Italia farà registrare una
sostanziale stagnazione, con incremento lievissimo del Pil del +0,1%. Il Pil
del Centro-Nord dovrebbe crescere poco, di appena lo +0,3%. Nel Mezzogiorno,
invece, l’andamento previsto è negativo, una dinamica recessiva: -0,3% il Pil.
Nell’anno successivo, il 2020, Svimez prevede che il Pil meridionale riprenderà
a salire segnando però soltanto un +0,4%.
Il gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord
nel 2018 "è stato pari a 2 milioni 918 mila persone, al netto delle forze
armate” sottolinea poi lo Svimez che spiega come la dinamica dell’occupazione
al Sud presenti dalla metà del 2018 "una marcata inversione di tendenza,
con una divaricazione negli andamenti tra Mezzogiorno e Centro-Nord". Gli
occupati al Sud negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo del 2019 “sono
calati di 107 mila unità (-1,7%)", nel Centro-Nord, invece, nello stesso
periodo, "sono cresciuti di 48 mila unità (+0,3%).
L’indebolimento delle politiche pubbliche nel Sud,
poi, incide significativamente sulla qualità dei servizi erogati ai
cittadini. Il divario nei servizi è dovuto soprattutto ad una minore
quantità e qualità delle infrastrutture sociali e riguarda diritti fondamentali
di cittadinanza: in termini di sicurezza, di adeguati standard di istruzione,
di idoneità di servizi sanitari e di cura. Nel comparto sanitario vi è un
divario già nell’offerta di posti letto ospedalieri per abitante: 28,2 posti
letto di degenza ordinaria ogni 10 mila abitanti al Sud, contro 33,7 al
Centro-Nord. Tale divario diviene macroscopicamente più ampio nel settore
socio-assistenziale, nel quale il ritardo delle regioni meridionali riguarda
soprattutto i servizi per gli anziani. Infatti, per ogni 10mila utenti anziani
con più di 65 anni, 88 usufruiscono di assistenza domiciliare integrata con
servizi sanitari al Nord, 42 al Centro, appena 18 nel Mezzogiorno.
Ancor più drammatici sono i
dati che riguardano l’edilizia scolastica. A fronte di una media
oscillante attorno al 50% dei plessi scolastici al Nord che hanno il
certificato di agibilità o di abitabilità, al Sud sono appena il 28,4%.
Inoltre, mentre nelle scuole primaria del Centro-Nord il tempo pieno per gli
alunni è una costante nel 48,1% dei casi, al Sud si precipita al 15,9%.
Su questo scenario di numeri e dati che non fanno presagire nessun futuro per il Mezzogiorno, si innesca il dibattito sulle autonomie e di un velato federalismo di facciata che sostanzialmente vuole mantenere i rapporti di forza economica e di sudditanza politica uguali a quelli che si vedono dal 1860.
Siete sicuri che la Lega di Salvini, che continua machiavellicamente a prendere voti proprio al Sud, piazzando tra l'altro i suoi fedelissimi luogotenenti sui territori, proprio come faceva l'Impero Romano, mentre dice (ora) "Prima l'Italia", di fatto stia agendo invece per rafforzare il vecchio e sempre caro ai padani, principio di "Prima il Nord"? Diremmo che è l'ora di svegliarsi da questo stato di ipnosi collettiva e riprendere in mano il controllo dei territori meridionali, prima che sia troppo tardi. L'autonomia e l'indipendenza, dall'ItaGlia e da questa Europa di affaristi, rappresentano una opportunità da cogliere, non un pericolo di cui temere.
RED
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