Il trionfo del sodalizio partenopeo stavolta è più identitario che in passato, considerando che al timone c’era il salentino Antonio Conte, che dunque entra nella storia come il primo uomo del Sud ad aver fatto chiudere al primo posto in classifica una squadra del Mezzogiorno. La festa è esplosa non solo a Napoli, ma anche in vari angoli del pianeta: scene di giubilo e di gioia, le abbiamo viste – grazie ai social – anche a Milano, Barcellona, Madrid, New York, Londra e anche in diverse realtà di quel Nord pieno di emigranti che avranno sempre la propria città natia nel cuore. A fare da contraltare l’invidia e l’odio malcelati e riversati sui social in maniera gratuita, da certe menti bacate per le quali Napoli è da associare solo a fenomeni da baraccone come la tiktoker innominabile che ha invitato a invadere Roccaraso, non più tardi di qualche mese fa.
O magari a quei delinquenti allo stato brado che sono andati in giro strombazzando, allo scopo di tenere sveglia la squadra del Cagliari nell’immediata vigilia della partita che avrebbe consegnato lo scudetto all’ombra del Vesuvio. O, per finire la carrellata dei soliti stereotipi triti e ritriti, a quegli altri fenomeni dal limitato quoziente intellettivo (per non dire di peggio), che hanno pensato bene di rubare macchine a ignari cittadini, per riverniciarle e addobbarle per fare una festa che – di fatto – non gli appartiene.
Al netto di tutto questo una cosa che va assolutamente evitata, è l’appropriazione di questo successo non solo sportivo ma anche in termine di immagine di Napoli, da parte di certa classe politica. I gaglioffi che si riempiono la bocca - in queste ore di grande festa e orgoglio identitario - con il nome di Napoli, al solo scopo di raccattare consensi qua e là, devono solo starsene zitti!
Con la loro falsa prosopopea, buona solo per assecondare i propri scopi di accaparramento di soldi e potere, non hanno nessun diritto di avocare a sé meriti che non hanno! Il riferimento al sindaco “manfreduccio con la ricotta” non è casuale, considerando che la capitale del Sud continua ad avere problemi atavici in termini di vivibilità. E non solo.
Secondo l’ultimo rapporto dell’ISTAT, nel primo trimestre di quest’anno, la disoccupazione giovanile a Napoli si attesta al 19% con un incremento di 1,6 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. Andamento analogo per la disoccupazione generale, salita al 6% con un tasso di inattività fermo al 32%. Decisamente peggio invece l’indice della qualità della vita, dove Napoli precede solo Reggio Calabria, in un contesto generale che vede quasi tutto il Sud annaspare nelle ultime posizioni.
Queste statistiche, già da sole, la dicono lunga sulla pessima qualità degli amministratori pubblici non solo di Napoli, ma dell’intero Mezzogiorno. E dovrebbero far svegliare le popolazioni che vi abitano, ogni qualvolta ci si reca alle urne, sull’opportunità di attribuire il voto, ai soliti volti noti della politica. Pronti solo ad arraffare il malloppo, ogni qualvolta gli si presenta l’occasione di farlo, come abbiamo avuto modo di constatare per interi decenni.
È stato stimato che, in questi giorni a cavallo fra la fine di maggio e l’inizio di Giugno, lo scudetto del Napoli sommato al ponte per la festa della repubblica (delle banane), genererà un indotto, in termini turistici, di circa 270 milioni di euro per la Campania. Alberghi, ristoranti e B&B letteralmente presi d’assalto da visitatori provenienti da ogni parte del mondo, desiderosi di ammirare le bellezze artistiche, gastronomiche, folkloristiche e culturali della regione più importante del Mezzogiorno insulare.
Un risultato a dir poco ragguardevole che si spera non venga sperperato, come al solito, in malo modo dalle nostre istituzioni locali. Che da sempre brillano in demagogia e annunci in pompa magna, salvo poi disattendere le attese e arrecare i soliti danni al territorio.
L’assegnazione, poche settimane fa, della “Coppa America” nel 2027, rappresenta poi l’ennesima grande occasione di rilancio e di sviluppo per Napoli. Abbiamo sempre negli occhi, gli sperperi e le promesse sparse qua e là dalla classe politica partenopea (sia di pseudo destra che di pseudo sinistra), che si sperticava nell’illudere i cittadini al solo scopo di tenere il culo saldamente incollato sulle cadreghe.
Un atteggiamento che ben conosciamo, sin dai tempi dell’istituzione della famigerata Cassa per il Mezzogiorno, che avrebbe dovuto garantire benessere e sviluppo, dopo il terribile e devastante terremoto del 23 novembre 1980. Invece, così non è stato con tutte le cattedrali nel deserto che sono sorte sui nostri territori, e gli infami sperperi di denaro pubblico che hanno solo gonfiato i portafogli di politicanti collusi con la camorra. A tutto discapito della collettività, che non solo è stata costretta a pagare ingenti tasse, ma ha anche continuato ad usufruire di beni e servizi pubblici (nel migliore dei casi) di qualità scadente, se non addirittura inesistenti. E – quale maleodorante ciliegina, su una torta già di per sé abbondantemente indigesta – ci si è messo pure il ricorso a pratiche assistenziali e clientelari, per elemosinare un consenso del tutto immeritato, come si sarà potuto ben capire.
La situazione purtroppo non è cambiata per nulla. I dati inerenti alle elezioni amministrative che si sono tenute nell’ultimo weekend, anche in diverse città del Mezzogiorno, parlano chiaro: l’astensionismo dalle nostre parti continua ad essere il primo partito con punte del 35-40%, cui vanno aggiunte anche le schede bianche e nulle. Un risultato che, naturalmente, i tromboni di regime se ne guardano bene dall’evidenziare, perché è necessario continuare a far credere che in questo ridicolo paese ci sia ancora la democrazia dell’alternanza. Con entrambi gli schieramenti dediti più a prendere per il culo i cittadini, che non a risolvere realmente i loro problemi come, eppure, sarebbero tenuti a fare.
Tornando quindi ai barlumi di luce che ogni tanto si intravedono quando ci sono successi di vario genere riportati dal Sud, ecco che ribadiamo forte e chiaro l’invito a certi personaggi del peggiore sottobosco della politica, di tenere giù il loro lercio zampone da ciò che non gli appartiene. Con l’invito, piuttosto, di andarsene a fare in culo e anche alla svelta…
Francesco Montanino
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